Mondo Liquido

L’arte ai tempi di Zygmunt Bauman


A cura di Ivan Quaroni




Secondo uno dei più prolifici pensatori della nostra epoca, Zygmunt Bauman, viviamo una vita-liquida e siamo immersi in una modernità-liquida. Anche la società attuale, soprattutto quella delle aree geografiche di maggior benessere, è una società-liquida. “Una società”, scrive il sociologo britannico, “può essere definita liquido-moderna se le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure” (1). In questo tipo di società, continua Bauman, “È incauto dunque trarre lezioni dall’esperienza e fare affidamento sulle strategie e le tattiche utilizzate con successo in passato: anche se qualcosa ha funzionato, le circostanze cambiano in fretta e in modo imprevisto (e, forse, imprevedibile)” (2). Insomma, quella che viviamo è una vita di incertezza e precarietà, in cui l’individuo non può aggrapparsi a nulla di stabile, poiché, come è noto, nulla mantiene una posizione certa per l’intero arco di un’esistenza. Non sono stabili le istituzioni, le condizioni economiche e lavorative, i fondamenti culturali ed etici. Cambiano continuamente i gusti, i comportamenti, le opinioni, i valori. La vita liquido-moderna ha mutuato dalla moda i cambiamenti stagionali. Quella del turn over è diventata la dimensione naturale dell’individuo. Il modello antropologico che si è imposto sopra tutti gli altri modelli è quello dell’homo eligens, l’uomo che sceglie continuamente, poiché tutto muta, costringendolo a prendere sempre nuove decisioni, che in seguito saranno sostituite da altre scelte. L’uomo che sceglie, non è l’uomo che ha scelto.

La scelta definitiva, identitaria, appartiene alle società del passato o a quelle che, ancora oggi, vivono secondo principi tradizionali, come le enclavi tribali e certe comunità di tipo religioso. La vita liquido-moderna è anche una vita di consumi. L’homo eligens è, infatti, l’homo consumens, intrappolato tra la compulsione ad acquisire merci, beni e gratificazioni immediate e la tendenza inevitabile a disfarsene per rimanere al passo di un eterno presente. In tale condizione esistenziale, due sono i fattori più importanti: la catena di produzione e consumo e quella di smaltimento. I rifiuti, lo abbiamo letto sui giornali e visto nei notiziari televisivi a proposito del caso “Campania”, sono la priorità assoluta della società liquido-moderna. Un altro elemento fondante della modernità liquida è la paura, che diventa condizione permanente di strisciante disagio esistenziale. La diade paura-sicurezza è alla base di tutto, dalla finanza all’advertising, dall’informazione alla politica. L’individuo della società liquida, non potendo appoggiarsi a nulla, non avendo certezze, sviluppa una psicologia angosciata e ansiogena. L’uomo occidentale è ossessionato dalla sicurezza, dal benessere, dalla giovinezza, dalla prestanza, dalla bellezza. Fitness e wellness scongiurano, ma solo nell’immaginario ansioso, l’approssimarsi di invecchiamento e malattie. La morte è assimilata alla spazzatura, la sozzura finale che attende l’individuo alla fine della vita.

Ora se l’analisi di Bauman è corretta, non lo è necessariamente la diagnosi. Nello studioso inglese, infatti, si avvertono i segni di una sociologia di stampo marxista, che vede gli eventi come concatenati e inevitabili. C’è, neanche tanto velato, un giudizio negativo nei confronti della società liquido-moderna, soprattutto se confrontata con quella precedente, che lui chiama solido-moderna e che coincide con la società industriale del primo capitalismo.

Il mondo liquido in cui viviamo ha un andamento simile al moto perpetuo o al movimento oscillatoria del pendolo. Tuttavia, se la vita biologica è in continua metamorfosi, perché non dovrebbe esserlo la società?
Eraclito, nel trattato Sulla Natura affermava che “Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell'impetuosità e della velocità del mutamento essa si disperde e si raccoglie, viene e va”. Nella filosofia buddista si afferma ripetutamente che il cambiamento è inerente a ogni esistenza fenomenica e che non vi è nulla nel campo animato o inanimato, organico o inorganico che si possa definire permanente, e anche se dessimo questa denominazione a qualcosa, inevitabilmente essa sarebbe desinata a cambiare, a sottoporsi a qualche metamorfosi. Nella prima riga del Tao Tê Ching, scritto secondo la tradizione nella prima metà del VI secolo a.C. da Lao-tzu, si legge: “La Via veramente Via non è una via costante”. In cinese Tao significa Via, ma, come afferma J.J.L. Duyvendak “la caratteristica di una via comune è di essere immutabile, costante, permanente. Ma la Via di cui si tratta qui è caratterizzata dall’idea opposta: questa via è la perpetua mutevolezza stessa. L’Essere e il Non-Essere, la vita e la morte si alternano costantemente. Non vi è nulla di fisso o immutabile” (3).

Forse la grande scoperta di Bauman non è stata quella di evidenziare l’essenza liquida della vita moderna, ma di indicarci l’inedita velocità del cambiamento. Il fiume di Eraclito corre impetuoso verso le rapide. L’uomo contemporaneo non deve ricorrere alla filosofia per accorgersi di essere immerso nell’impermanenza, è sufficiente che si guardi attorno. Ecco, Bauman è un grande analista, ma non ci indica alcuna strada per uscire dallo stato di modernità-liquida. Il Tao, invece, ci insegna, con secoli di anticipo, che l’uomo deve essere come l’acqua, che scorrendo si adegua ad ogni superficie, aggirando gli ostacoli, trovando sempre nuove strade per proseguire la sua corsa.

Secondo Bauman, la cultura tipica della modernità liquida è una cultura ibrida, onnivora, post-gerarchica, che postula l’eguaglianza di tutte le culture, insomma una cultura “evasiva, di facili gusti, imparziale, ben disposta e desiderosa di assaggiare qualsiasi proposta e di ingerire e digerire il cibo di qualsiasi cucina” (4). Non è una cultura semplicemente globale o cosmopolita, ma una cultura extra-territoriale, che sfugge ad ogni forma di identificazione etnica, religiosa, politica, morale. L’extraterritorialità è, infatti, il lusso dell’uomo della società liquido-moderna. Coloro che possono permettersela, rifugiandosi nei “nessun dove” virtuali e reali, godono del privilegio di essere inafferrabili, in continuo movimento, sempre addentro un presente potenziale. L’homo eligens/consumens è la manifestazione biologica e culturale delle qualità metamorfiche della modernità. La sua è un’ibridazione permanente.

La pittura contemporanea, come espressione visiva della società liquido-moderna, è in parte caratterizzata dalla tendenza a mescolare ed equiparare fonti iconografiche entro un orizzonte post-gerarchico. È una pittura fusion, ibrida e globale, capace di rispecchiare la sostanziale inafferrabilità della vita contemporanea. Si può parlare di una pittura liquido-moderna? Forse sì, se la si identifica con le evoluzioni e mutazioni del codice genetico Pop, che contiene già i prodromi della tendenza verso l’ibridazione e la mescolanza, verso l’equiparazione onnivora e anti-gerarchica di ogni forma di cultura.

Nei cinque artisti di questa mostra compaiono alcuni sintomi tipici della cultura della società liquido-moderna.

In Love me do, beatlesiano titolo della serie di dipinti di Loredana Catania, l’indagine dei molteplici aspetti del cosmo femminile si traduce in una rappresentazione variegata e sclerotica di istanze e comportamenti contraddittori. La donna di Loredana Catania non è portatrice di una ben definita identità, ma è semmai rifrazione di una pluralità postmoderna di proiezioni psichiche ed erotiche. Attraverso la reiterazione del proprio autoritratto, l’artista siciliana può incarnare tutta la gamma di tipologie femminili che la storia dell’iconografia artistica e religiosa tradizionale mette a disposizione. Per lei vale l’ipotesi di Bauman secondo cui i riferimenti del passato, tutt’ora utilizzati, si riducono a semplici opzioni sul menù iconografico dell’artista, nessuna delle quali può rivendicare una superiorità o un’autorità sufficiente a imporsi. Catania intuisce la qualità inclusiva della cultura moderna, in opposizione a quella identitaria, eminentemente elettiva.

Con i dipinti della serie In Plastic We Trust, storpiatura volontaria del motto presente sulle banconote americane, Roberto Messina compie un’indagine sulla mobilità semantica dei character di cartoni animati e personaggi della fiction televisiva. Icone dell’immaginario pop come Spiderman, Mazinga, Batman e Teletubbies vengono parzialmente privati degli elementi di caratterizzazione fisiognomica e corporea, divenendo così dei contenitori vuoti, delle spoglie prive di significato. Al loro interno, i personaggi vengono colmati con pattern e texture ornamentali con l’intenzione di comunicare il senso di indifferenziazione iconografica e concettuale degli eroi mass-mediatici. Bauman mostra come il concetto stesso di eroismo, venga traslato nel concetto di celebrità. Nell’antichità il martirio e l’atto eroico erano compiuti per il bene superiore della collettività. Oggi, l’esemplarità delle celebrities consiste nell’esasperazione del valore dell’individuo, che usa la fama, spesso acquisita senza meriti, unicamente per il proprio interesse.

Ancora più critica è la posizione di Laura Giardino, che assume un atteggiamento antagonista nei confronti della cultura ufficiale, radicalizzando il saccheggio di fonti iconografiche basse e popolari. Tra recuperi vintage ed erotismo d’antan, tra etica punk ed estetica pop, Laura Giardino riscrive l’identikit femminile contemporaneo in un’ottica di trasgressione minoritaria e, dunque, anche esclusiva. Le sue sono maliziose pin up domestiche, che incarnano ruoli di bad girl e demoniache vamp. Giardino le colloca su fondali dipinti con colori caramellosi, ritmati da curiosi motivi decorativi, pattern ricavati dalla ripetizione di elementi prosaici, come piselli, peperoncini, uova pasquali, perfino denti e articoli da toeletta, tutte immagini che slittano quasi inavvertitamente in primo piano, colonizzando, in forma di tatuaggi, l’epidermide dei personaggi. Nel lavoro dell’artista milanese gioca un ruolo importante anche l’inserimento di elementi dissonanti, come blatte, ragni e teschi (il suoi sono quelli celebri dei Misfit), che gettano una luce sinistra, ma anche ironica, nell’atmosfera felice dei suoi lavori.

Protagonisti indiscussi dei paesaggi di Nicola Felice Torcoli sono fabbriche, laboratori, reattori, antenne, torri d’estrazione petrolifere, cantieri e centrali nucleari. In questo scenario di apocalisse tecnologica non c’è spazio per l’uomo. Con i suoi quadri, Torcoli traccia una linea di continuità tra la modernità solida di matrice industriale e la modernità liquida dell’era digitale. Secondo l’artista il problema è sempre l’alienazione, che passa dalla classe operaia al terziario, dalla catena di montaggio all’ufficio. Il computer è, infatti, elemento centrale della quotidianità liquido-moderna, feticcio ambiguo, utilizzabile come strumento di lavoro, e quindi di alienazione, e come dispositivo di gioco, e quindi di evasione. Gli individui delle società avanzate sono, dunque, profondamente suggestionati dai processi informatici e digitali. Per questo, l’artista ha elaborato un tipo di pittura in grado di restituire in senso ottico, oltre che iconografico, l’idea di una realtà influenzata dalla geometria dei pixel e dalla struttura matematica che presiede alla costruzione delle immagini digitali.
Forse la ricerca che meglio incarna la condizione d’impermanenza e di frenetica mobilità della società liquido-moderna è quella di Renzo Marasca, che mette in scena una pittura enigmatica, piena di potenziali spunti narrativi, ma nondimeno sfuggente. Quelli rappresentati dall’artista sono, infatti, racconti di una realtà sfocata, quasi immateriale, che spalanca le porte a improbabili epifanie e ad avventi inaspettati. Nevrotici e inquieti, i suoi personaggi si muovono in un universo dai contorni incerti, dove i profili delle cose sono fluidi, i perimetri mutevoli e le proporzioni alterate. Attraverso diversi tipi di esecuzione pittorica, Marasca crea fratture nella struttura compositiva e narrativa che accrescono il senso d’incertezza delle sue opere. In una realtà senza approdi certi, liquida e dinamica come le acque di un fiume, l’individuo vive nell’attesa spasmodica, ma anche nella paura, che accada qualcosa in grado di cambiare le cose. La pittura di Marasca riproduce questo senso d’imminenza, questa aspettativa snervante per l’incombere di qualcosa che potrebbe anche non accadere mai.

1) Zygmunt Bauman, Vita liquida, pag. VII, Edizioni Laterza, 2008, Bari.
2) Zygmunt Bauman, Op. Cit., pag VII.
3) Tao Tê Ching, a cura di J.J.L. Duyvendak, pag. 27, Adelphi Edizioni, 1998, Milano
4) Zygmunt Bauman, Op. Cit., pag. 24



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