ANNAMARIA IODICE

progetto di deriva artistica

di Pietro Valle




Portare lo sguardo dell'arte nella vita, portare il soffio della vita nell'arte: la specularità di questi due intenti segna il lavoro di Annamaria Iodice dagli anni '70 ad oggi. Il progressivo spostamento di questo progetto attraverso mezzi espressivi, figurazioni e destinatari diversi, non segna l'evoluzione verso una sintesi finale. Diluisce invece il lavoro in meandri insondabili, in dimensioni multiple, alla continua ricerca di un elemento di stupore che catturi il balenare dell'arte non mediato da convenzioni stilistiche. Nel perseguire epifanie che leghino arte e vita, Iodice immette la natura come terzo elemento dialettico, matrice dinamica e sfuggente che indica il continuo divenire del lavoro, il suo reiterarsi ciclico attraverso circonferenze che non ripassano per un punto precedentemente attraversato. In questa perseguita instabilità, il lavoro di Iodice ha un'intenzione concettuale -un progetto di ridefinizione dell'arte continuamente in fieri- e un esito sensibile non mediato. Se l'arte sfugge, esiste; se l'arte esiste, si sposta e modifica noi stessi, la nostra vita. Essa è quindi definibile come viaggio, percorso, resoconto. Accanto alle opere, Iodice documenta gli spostamenti della sua ricerca in una serie di appunti scritti che registrano le apparizioni, di un "enorme, impalpabile essere che pervade tutto e dà forma, configurazione, posizione ed espressività ad ogni cosa." Quell'entità agente non è esterna a noi: "Anch'io sono parte di quell'essere impalpabile. Le forme si modificano continuamente." (1)
Nelle azioni degli anni '70 a Napoli, sua città natale, Iodice cerca di estendere l'esperienza artistica allo spazio pubblico. L'epifania dell'arte si coagula in eventi che investono un determinato luogo urbano per un tempo limitato e coinvolgono i cittadini in forme performative e ludiche ove l'artista recupera elementi della locale cultura popolare. Gli studenti dell'accademia sono coinvolti nella pittura di miriadi di uccelli su volantini che "prendono il volo" sui muri di Via Costantinopoli mescolandosi ai manifesti pubblicitari e all'imagerie commerciale. (2) Feste/eventi con raccolta/distribuzione di elemosine culturali coinvolgono il pubblico in serate artistiche. L'artista, investendo se stessa nei rituali della strada, distribuisce certificati di bontà ai passanti da un banchetto rosa. L'arte come dono, come dispendio senza valore, coinvolge la gente in microsegmenti temporali di intensità, ove essa prolifera in opere-multipli che sono disperse nel quotidiano. Lo spazio stesso diviene arte per un istante, e il Messaggio per Piazza Municipio, striscione sostenuto da due persone, tratta il luogo come fosse un’individualità cui inviare un appello. La natura diviene evento da condividere e l'installazione Pezzi di Cielo coinvolge gli operai di un cantiere edile nell'affiggere sui muri dei dipinti su carta che raffigurano "nuvole, stelle e uccelli in volo". (3) Su un muro di cemento lungo la strada che porta da Napoli a Pozzuoli, Iodice dipinge un albero blu che attrae per un attimo i guidatori che passano di là. Il dipinto è accompagnato da una frase: "Passante, il tuo cuore è meravigliosamente fiammeggiante", significativo aforisma che consegna al pubblico l'estasi del momento artistico. (4)
Se l'arte va in strada, l'arte di strada, tipica della cultura urbana napoletana, è portata nel luogo espositivo istituzionale. In un limpido rovesciamento del ruolo delle sue opere, Iodice, invitata alla quadriennale di Roma del 1975, porta una proliferazione di immagini devozionali e pupi, nel suo "Muro Personale" al Palazzo delle Esposizioni.
Il ruolo messianico, quasi rituale, dell'evocazione dell'arte è progressivamente assunto dall'artista stessa, alla ricerca di una continuità vitale che le azioni non riuscivano forse a trattenere. Alla fine degli anni settanta, il lavoro di Iodice inizia un percorso di assorbimento che implode le suggestioni della natura/arte nell'autobiografia dell'autrice. Ella si pone come una sorta di medium di energie metamorfiche che l'attraversano. Episteme del 1981 oltrepassa i confini tra arte e vita, evento e durata, istante e quotidiano. Il diario registra il formarsi di una visione, una "montagna animale" che "si fisicizza nelle infinite forme che l'attenzione le offre". L'artista trasferisce "l'aspetto sintetico di questa misteriosa interlocutrice" con forme vegetali dipinte su un enorme telone che attraversa la cucina del suo appartamento e accompagna i gesti del quotidiano in compagnia della neonata figlia, insieme con una tovaglia dipinta con la scritta Tristes Tropiques e cartoni con la scritta Episteme. (5) I dispositivi delle azioni spontanee sono calati nel privato dell'artista che, nel suo attraversare il quotidiano (come sensore di energie e come donna che dà vita), si immerge nell'arte e accoppia natura animale e vegetale (la visione, la maternità, le foglie dipinte) in un corto circuito che aspira alla totalità e rifugge il fissarsi in una forma definitiva.
Già in Episteme è la pittura, per quanto ambientata, che emerge come strumento di un immaginario che rilegge la realtà attraverso la visione. La pittura si declina in direzioni molteplici, si esterna, posandosi sulle cose e, contemporaneamente, insegue forme di trasmigrazione delle immagini, anche appropriate, alla ricerca di un flusso comunicativo spontaneo. Il duplice interesse di Iodice per i pigmenti come materia alchemica che tocca la realtà e per forme di figurazione delle culture popolari ed etniche, permea un’interessante serie di lavori degli anni '80 che fanno "pensare a storie di persone che si toccano, a distanza, grazie ai manufatti". (6) L'arte è parallelamente materia e viaggio, presenza tattile e evocazione di narrazioni lontane, le due dimensioni si intersecano dialetticamente. Il colore appare nell'opera-installazione Equinozio d'Autunno che Iodice propone nel castello di Rivara nel 1987 dove l'artista dipinge strati e strati di veline con colori diversi e "lotta con la superficie ed i pigmenti per ottenere uno spazio cromatico in cui vedere l'immagine che dev'essere come un'apparizione". (7) Alla mostra "Il Giardino nel Giardino" a Capodimonte nel 1988, Iodice interviene "con polveri colorate su pareti di tufo corrose dal tempo e ricoperte di muschi". Le figure dipinte sono nettamente percepibili ma l'importante è "fisicizzare i concetti che innescano o hanno innescato uno stato sia contemplativo che esplorativo di una dimensione interna che possa essere condivisa".(8) Nello stesso periodo studia le culture popolari degli immigrati e la trasmigrazione di segni primitivi, appropriati con spontaneità artigianale, nella cultura tecnologica occidentale. I dipinti della fine degli anni '80 fanno apparire molteplici stilizzazioni su sfondi cromatici privi di dimensione certa. Essi sembrano voler materializzare la trasmigrazione di figure in contesti altri, la loro parallela decontestualizzazione e ricontestualizzazione in una sintesi momentanea che non vuole fissarne le relazioni. Le figure evocate passano da forme naturali appena sbozzate e investite dai colori, ad improvvise camere prospettiche, contenitori di spazi.
Gradualmente questa tecnica di montaggio si stempera, si diluisce. Il movimento dell'immaginario si fa fluido, atmosferico e Iodice, senza tradire le premesse che hanno caratterizzato il suo lavoro precedente, ritorna alla natura, la elegge come medium del transfer che l'arte è capace di proporre. Nell'evoluzione della sua pittura, i boschi, i corsi d'acqua e la densità dell'aria, integrano il compito che il colore aveva precedentemente. Lo superano, anzi, perché svolgono ora il ruolo di figura e sfondo allo stesso tempo, mezzo e fine dell'arte. La ricerca di un'epifania, il sorgere e lo scomparire delle immagini, è riportata all'interno di una figurazione che è capace di registrare il formarsi delle visioni. Il richiamo a memorie sedimentate in un passato mitico e rituale, fa riscoprire a Iodice l'affresco Pompeiano e l'arte Cinese, ove dimensioni diverse si muovono in una natura/atmosfera informe.
Lo spazio figurativo di fiumi e boschi genera visioni di strati di colore da cui affiorano e scompaiono figure di varie dimensioni appena abbozzate o velate, quasi dei fantasmi corporei. Legati forse all’aldilà ma sempre lievi, entrano ed escono in punta di piedi, non sembrano appoggiati per terra o forse fluttuano. Sono spesso chiamati eremiti e questo titolo ricorre in molteplici quadri degli anni '90. I paesaggi sono aerei con frammenti di luoghi, spesso isole nell'acqua, disseminati in un medium ocra, sanguigno o blu intenso. Il peso dell’aria è fatto di strati di colore parallelamente solidi e gassosi. I corpi sono in parte definiti, in parte macchiati per mergersi nel medium del quadro. Il distribuirsi delle figure in varie dislocazioni permette una compresenza narrativa di molteplici storie, un atlante mitico, ma anche un costante slittamento tra reale e immaginario, tra vita e aldilà. La materia/quadro è aria, acqua, terra, vegetazione, alga, cometa, foresta, vita, morte. La presenza di macchie di vegetazione definite non è in conflitto con questo informe, anzi mostra contiguità tra astrazione e figura, motivo e narrazione, caricatura e rilievo. Il gentile rigoglio di questa pittura rivela un mondo distante da equilibri, un mondo ridondante e ombroso, materico e spiritista, esotico e spazialmente volubile, spirituale e lascivo, un mondo, in fondo, affascinato dalla propria capacità narrativa di traghettare verso l'immaginario. Non è un caso che uno dei più misteriosi quadri di Iodice degli anni recenti si intitoli significativamente "Due Mondi", in esso le figure umane appaiono e scompaiono in una sorta di cratere di colore, quasi fossero reificazioni del desiderio dell'arte di materializzare la soglia verso dimensioni altre. Anche la tecnica della pittura si moltiplica, si dissocia, insegue un ruolo di materia naturale che incorpora un'energia panica, assorbente, comprensiva. Sullo stesso piano figurativo si mischiano figurazione e informale, miniatura e gesto, campiture e tratti. L'olio, l'affresco e l'acrilico diventano un humor aqueous che, al pari dell'occhio, fatica a fissarsi su un punto di vista e segue la continua traslazione del desiderio. In pitture più recenti, un segno blu monocromo, inizia figure in vari punti del quadro con orientamenti circolari. L'atmosfera di colore scompare e il segno è sorgente non di uno ma di più corsi narrativi: le figure umane si disperdono infatti in macchie di vegetazione e, giunte ad un certo punto, scompaiono nel colore. Costanza/apparizione, atmosfera/materia, immobilità/deriva, figure/sfondo, peso del colore/peso delle figure: la pittura di Iodice potrebbe essere scandagliata analizzando la dialettica tra queste coppie di termini. In esse è presente la vitale lentezza del lavoro di quest'artista, tutta immersa in un'introspezione che attende l'emergere delle immagini, in una concentrazione che cerca di fare corrispondere ricezione ed elaborazione dell'arte. Non c'è quindi soluzione di continuità nel lavoro di Iodice: per trent'anni ha inseguito un'antimimesi che evita di ridurre la figura a rappresentazione e la tratta invece come presenza vitale, energia, natura. La sfuggevolezza di questa ricerca, il suo continuo scollarsi da se stessa è la strategia per mantenerla attiva. Nel corso del tempo ha disseminato isole di consapevolezza che fluttuano alla deriva nel grande corso dell'arte.



1- Annamaria Iodice, "Appunti, 1981", in Annamaria Iodice, Casier Treviso 2006, p.13.
2- Ibid., "Appunti, 1974", p.7.
3- Ibid., "Appunti, pezzi di Cielo - Giugno 1976", p.12.
4- Ibid., "Appunti, 1978, Passante", p.12.
5- Ibid., "Appunti, 1981", p.13
6- Ibid., "Appunti, 1988", p.22.
7- Ibid., "Appunti, 1987", p.22.
8- Ibid., "Appunti, 1988 Napoli Capodimonte "Il Giardino nel Giardino", p.22.