TRICK OR TREAT

A Wicked Group Show



di Ivan Quaroni




Gli antichi Celti chiamavano Samhain la festa che sanciva la fine dell’estate e l’inizio dei preparativi per l’inverno, un periodo tradizionalmente considerato di transizione in cui si credeva che si assottigliasse il velo che divide il mondo dei vivi da quello dei morti. Durante la dominazione romana, Shamain fu assimilata alle solennità in onore di Pomona, che coincidevano con la festa delle messi. Quindi, in periodo cristiano, forse con l’intento di sopprimere le feste pagane legate a questa ricorrenza, Papa Bonifacio IV spostò la festa di Ognissanti, solitamente celebrata il 13 maggio, al primo giorno di novembre, facendola seguire dalla Commemorazione dei Defunti (2 novembre). Nei paesi anglosassoni la festa di Ognissanti era chiamata Hallowmas, mentre la vigilia (30 ottobre) era All Hallows Eve. Da qui l’origine del nome Halloween, solennità celebrata soprattutto nei paesi di lingua inglese e oggi diffusa in tutto il mondo grazie alla sua fama di festa gioiosa e carnevalesca, nella quale vengono simbolicamente esorcizzate le paure più irrazionali e profonde dello spirito umano.
TRICK OR TREAT presenta diciannove giovani artisti alle prese con l’iconografia legata a una delle feste più celebri e divertenti.
Streghe, fantasmi, demoni, vampiri, scheletri, zombie e mostri d’ogni genere diventano protagonisti di una “spaventosa” galleria di ritratti horror pop, in bilico tra il cupo immaginario gotico e lo spirito goliardico del carnevale.
Ogni artista affronta il tema secondo il proprio stile e la propria sensibilità, interpretando in modo ironico, critico o divertito un patrimonio iconografico d’importazione, alla cui affermazione globale ha contribuito prima di tutto il Cinema, con celebri horror movie come Halloween la notte delle streghe di John Carpenter, Nightmare before Christmas di Tim Burton e Morte a 33 giri (titolo originale: Trick or Treat) di Charles Martin Smith.
Nel corso degli ultimi decenni anche nel nostro paese, tradizionalmente sottoposto all’influenza della cultura popolare statunitense, questa festa si è diffusa in ambito fino a diventare una delle più attese e interessanti occasioni di divertimento dell’anno. Basta una rapida occhiata su internet per accorgersi che i siti italiani dedicati all’argomento sono numerosi e contengono notizie tra le più varie, come cenni storici fino ai consigli su come preparare una zucca illuminata. Oltre a un lucroso business legato all’organizzazione di feste a tema horror nelle più suggestive località, come antichi castelli e ville vetuste, l’immaginario orrorifico di Halloween si è potuto diffondere anche grazie all’affermazione di culture giovanili in cui dominano simboli e icone macabre. Un esempio è la nuova ondata di band gotiche, che rispetto a quelle classiche post-punk mescolano elettronica e suoni metal, ma anche tutto il substrato etico ed estetico della cultura Emo, che dimostra di avere una straordinaria presa sul pubblico più giovane. Non stupisce, poi, che perfino nell’abbigliamento di produzione industriale abbiano trovato spazio brand, come ad esempio Emily the Strange, che usano l’iconografia funebre e dark con la stessa disinvoltura con cui negli anni Ottanta venivano impiegati negli indumenti come nei complementi d’arredo i pattern floreali di Naj Oleari.
Trick or Treat ci permette di osservare come l’immaginario macabro di precipua derivazione anglosassone sia stato assimilato oppure rigettato in ambito pittorico. La forzatura critica da cui prende le mosse questa esibizione collettiva, ovvero la richiesta agli artisti di operare su un tema parzialmente estraneo alla loro formazione, serve a dimostrare l’impatto delle culture estere sulla definizione di una nuova e forse più globalizzata identità italica. Insieme a forme entusiastiche di adesione, si allignano però anche forme di resistenza, in cui l’iconografia di Halloween viene ibridata con riferimenti e citazioni alla cultura storico artistica autoctona.

Tra le interpretazioni più originali c’è quella di Vanni Cuoghi, un dipinto su tela che rappresenta l’innesto tra la festività cristiana di Ognissanti e quella pagana e popolare di Halloween, qui rappresentato come un virtuale incontro tra i martiri della fede e l’icona di Jack O’ Lantern, la famosa testa di zucca ghignante. Un’allusione alla tradizione iconografica sacra del Rinascimento è presente anche nell’opera di Giuseppe Veneziano, che per l’occasione offre un’inedita versione dell’Annunciazione con protagonista una sdegnosa Morticia Addams. Sempre alla macabra famiglia di freak è dedicata l’opera di Samuel Sanfilippo, che immagina una nuova customizzazione dell’auto degli Addams, sul cui tetto edifica una cattedrale in stile gotico italiano. Al Frankenstein di Boris Karloff è invece dedicata l’opera di Roberto Messina, in cui l’icona horror è assediata dal consueto processo di testurizzazione dell’immagine cui l’artista sottopone le icone pop. Ispirato all’iconografia medievale della Danza Macabra è, invece, il girotondo di scheletri bambini di Silvia Idili, sorta di variazione pop surrealista del tradizionale tema della vanitas. Una delicata visione notturna e insieme una fragile fantasmagoria è quella costruita da Silvia Argiolas, che con la sua vena onirica tratta il tema dell’adolescenza tramite la vibrante combinazione di figura e paesaggio. In The addiction, titolo ispirato all’anomalo vampire movie di Abel Ferrara, Giuliano Sale raffigura due allampanate donne vittoriane e un raccapricciante capro con tre corna sullo sfondo di un tetro e caliginoso paesaggio silvicolo. Un clima bizzarro, in bilico tra la fiaba e il racconto dell’orrore promana dal dipinto di Loredana Catania, dove compaiono tanto i simboli di Halloween (il gatto nero, il pupazzo di Jack O’ Lantern e i dolci) quanto quelli dell’Alice disneyana (la sedia a dondolo, i funghi e i dolcetti dalle miracolose proprietà). Fiabesco, ma con un tocco macabro, è il disegno di Michela Muserra, disegnatrice italiana di stanza a New York, il cui stile illustrativo ben si presta alla rappresentazione ironica e scanzonata del mostruoso. Una reinterpretazione del tema iconografico del Trionfo del bene sul male è quella di Laura Giardino, che rappresenta una discinta moglie di Frankenstein, con tanto di scritta White Zombie sul perizoma, nell’atto di schiacciare col piede la testa di Jason Voorhees, il pluriomicida protagonista della serie cinematografica Venerdì 13. Un saggio di metalinguismo cinematografico e rock è quello allestito da Michael Rotondi, che cita tanto l’immaginario granguignolesco dei Misfits, gruppo hardcore americano dalle alterne fortune, quanto l’ironica science fiction timburtoniana di Mars Attack, mentre incombe sullo sfondo l’inquietante mole di una cattedrale gotica. Ondivaga e sinuosa come le volute di un capriccio liberty è l’opera di Elena Rapa, una sorta di autoritratto fantastico (l’artista è nata proprio il giorno di Halloween) che si dipana attraverso brevi flash narrativi, episodi che, come cupe apparizioni, costellano il buio esistenziale della protagonista, dalla nascita alla morte. Classicità e modernità si fondono nell’opera di Eloisa Gobbo, che strizzando l’occhio a Kara Walker, trasforma il sabba delle streghe in un mitologico convegno panico dove, tra fittizie quinte floreali di sapore lounge, campeggiano le sagome di ninfe e satiri.
Figura più prossima al mardì gras creolo che alla festività ottobrina è quella disegnata da Shanti Ranchetti, una versione femminile del Baron Samedì (letteralmente Barone Sabato), una divinità del pantheon vodoo che è il corrispettivo del Caronte dantesco. Traghettatrice di morti e cadavere ella stessa, la Baronessa Sabato di Shanti assume le sembianze di una bimba impegnata nell’innocente attività del trickortreating.
Danilo Pasquali documenta con grande ironia uno spaccato della vita quotidiana di una vampira. Il set è una toilette domestica e il momento prescelto è significativamente quello dell’igiene orale. Sul ripiano sono disposti, oltre a miniature di teschi umani e animali, un tubetto di dentifricio e un flacone di colluttorio. La fotografia ruota intorno ad un’anomalia semantica, ossia il riflesso nello specchio dell’immagine della vampira, laddove dovrebbe apparire logicamente l’immagine dell’autore dello scatto.
Dipinta in stile rigorosamente flat e con la consueta eleganza ornamentale, Hermione, la strega dipinta da Fulvia Mendini non ha nulla a che vedere con la giovane maga amica di Harry Potter. Piuttosto, è una delle molteplici incarnazioni tipologiche dell’universo iconografico dell’artista, una dama dell’alta società che si concede il vezzo di un party in maschera. All’opposto, la donna rappresentata da Tiziano Soro è la tipica casalinga delle pubblicità degli anni cinquanta, sebbene sotto le mentite spoglie della graziosa e sorridente massaia si nasconda forse la personalità di una pericolosa assassina. Particolare interessante è costituito dal fondo della tela, una texture composta dalla ripetizione della figura della mummia, che è uno dei must della cinematografia di serie B. A questo tema iconografico è ispirata anche l’opera di Riot Queer, che raffigura appunto una figura femminile col corpo fasciato col volto deturpato da orrende cicatrici. L’impalcatura dell’immagine di Riot Queer segue un andamento quasi araldico, con la figura centrale, circondata da due topi rampanti e ornata di cartigli e lo stile è ricavato in gran parte dalle iconografie del tatuaggio di vecchia scuola. Per finire, Massimo Gurnari interpreta sotto forma di autoritratto la figura di uomo lupo. Come il protagonista di Lupo mannaro americano a Londra, celebre pellicola di John Landis, il licantropo di Gurnari è un mostro dei nostri giorni, un adolescente dal tipico abbigliamento casual. Buffy l’ammazzavampiri docet.