FEDERICA GHIZZONI con 

inaugurano
martedi 10 dicembre dalle ore 19.00

Francesco Bancheri, Sara Baxter, Daniele Carnovale, Marco Colletti, Laura Giardino, Shanti Ranchetti,
Elio Varuna
testo critico di Francesca Barbi Marinetti
a Roma dal 10 dicembre 2015 al 17 febbraio 2016
TESTO CRITICO di FRANCESCA BARBI MARINETTI

Con il 2015 termina l’anno dedicato al Food. A partire da Expo in Italia si sono moltiplicati a raggiera eventi d’ogni tipo attorno al tema. Vogliamo salutare anche noi l’anno con una mostra ironica, in stile prevalentemente neopop e pop surrealista, come risposta provocatoria dell’arte alla forza mediatica, quasi glamour, che l’alimentazione ha assunto.
Il cibo è piacere e tentazione. È un comportamento alimentare nella Bibbia a segnare la disobbedienza dell’uomo a Dio a dimostrazione della sua debolezza. In latino malum è il frutto e anche il male. Una doppiezza che connota molte cose fondamentali della vita, dove il confine tra negativo e positivo pare oscillare come tra opposti campi magnetici.
Nella lista degli atti primari dell’esistenza, indispensabili alla sopravvivenza individuale e della specie, il nutrirsi sta in cima. Azione che è entrata nell’immaginario con diverse intensità e sfumature, istintualià e consapevolezza, estetismo o sciatteria, oltre che come riferimento simbolico e di appartenenza.
Le abitudini alimentari sono suscettibili alle mode come ai cambiamenti di pensiero, e le pietanze si incontrano, si scontrano e si mescolano sempre più sulla spinta della globalizzazione.
La contemporaneità è abbondanza di informazioni e di immagini, e il voyerismo permea il piacere della tavola dalle riviste patinate, ai programmi televisivi e social network fino a toccare gli estremi della pornografia del cibo. L’enfasi sulla presentazione dei piatti è figlia dell�era digitale in cui si comunica attraverso la condivisione di immagini. Ammiccanti cibi virtuali scatenano il desiderio. Con il #foodporn il palato è sollecitato più dalla vista che dall’olfatto o dal gusto.
Simbolo di abbondanza, fortuna e fertilità, su un piano più profondo, la cornucopia rappresenta sovranità, spiritualità e forza. Ed è bipolare in quanto penetrante e pungente (maschile), contenitrice e creativa (femminile). Un concetto così emblematico per il complesso dei beni necessari alla vita è posto accanto alla sua estremizzazione. Ancora una volta un bene supremo può cambiare segno fino ad eccitare abitudini comportamentali nocive.
Le opere di Francesco Bancheri, Sara Baxter, Daniele Carnovale, Marco Colletti, Laura Giardino, Shanti Ranchetti ed Elio Varuna indagano, giocano e stemperano tali temi hot & cool.
Per Francesco Bancheri la cornucopia intesa come abbondanza esplode, con un primo piano ravvicinato di fiori e cibo, in un’immersione olfattiva e visiva. Al colore impartisce il compito di sostenere l’intensità emozionale sostenuta dalla matericità del collage di buste e ritagli di giornali, babele di tutti i linguaggi figurativi possibili da riassemblare e incollare all’infinito. Una formula espressiva alla base della ricerca creativa di Bancheri che trova radici nel Dada per cui è nel caso che si creano i presupposti di una rivelazione.
In Daniele Carnovale, scenografo di formazione come Bancheri, il tema del food è ripreso in diverse tavole dedicate. Il consumo del cibo è rapportato all’immagine femminile in soluzioni di equilibrata eleganza e ironia. Una sensualità sofisticata e ludica collega la rappresentazione di volti e corpi di donne con alimenti e bevande diverse a cui ogni opera è singolarmente ispirata. Sono composizioni che si avvicinano, per resa comunicativa, alla grafica pubblicitaria con piani e superfici differenziati cromaticamente. Domina qui il motivo pop, reso attraverso sovrapposizioni d’immagini, particolari, piani e segmenti, lettering, elaborazioni fotografiche e colature ritmiche, con alternanze visive di positivo e negativo.
Due grandi classici, L’Isola dei Morti di Arnold Barnold Böcklin e L’isola dei giocattoli di Alberto Savinio, sono la fonte d’ispirazione del dittico di Marco Colletti. Del primo, icona del simbolismo, che ipnotizza lo spettatore in una sospensione onirica, Colletti recupera l’enigma e l’ambiguità di un viaggio metafisico dell’anima.
Ciò accade in L’Ile des Charmes I non solo nell’assetto compositivo, ma nell’apparizione visionaria antropomorfa che domina dall’alto e nella indicazione offerta da luce, fiori e petali. Con L’Ile des Charmes II si penetra nella magia di un giardino segreto custode delle ricchezze sparse di una cornucopia straripata. Dolci-balocchi dai colori squillanti, e in netto contrasto con lo sfondo ombroso, meravigliano e solleticano memorie dimenticate con la loro inspiegabile presenza infantile ed inquietante.
L�opulenza di un mondo sazio d’ogni cosa si riscuote con gli accostamenti surreali di Elio Varuna per il quale l’arte emerge sempre come un�azione assertiva e rigenerativa. L’ironia postmoderna fa spazio alla creatività simbolica necessariamente comprensiva e in ascolto dell�eredità di stili ed icone che nel passaggio di generazioni hanno mantenuto inalterata la loro vocazione referenziale. Il mondo pittorico di Varuna è popolato di oggetti simbolicamente universali ripescati in tradizioni antiche ed esoteriche così come nell’immaginario attuale, multimediale e pubblicistico. Incarnazione di quest’anima seria e insieme giocosa, capace di miscelare con leggerezza e spessore contenuti appartenenti a culture, tempo e spazio distanti, è il Tuty, un marchio d’artista onnipresente nelle opere di Varuna. È un esserino rosso, simile ad una macchia con bocca, denti ed arti, a permettere ai contenuti di tradursi in azione. Come un globulo pulsante di vita che ricorda gli elementi primordiali che si animano nelle Cosmicomiche di Calvino, oppure l’incarnazione della matrice pop e neo surrealista che connette ed accende la scintilla tra orizzonti conoscitivi altrimenti lontani.
L’icona pop per eccellenza, il barattolo, marchiato con la sigla di Captain America, Batman e Superman, per Sara Baxter è stato giù consumato, e giace ammucchiato e pigiato tra gli altri sotto plexiglass. È una scatola di conserva a qualificare i super-eroi. Una dose stupefacente, funzionale all’azione eroica, di cui va salvaguardata la memoria come fosse un cimelio. Se la salvezza è nella forza, la forza è indotta, come per Braccio di Ferro che senza spinaci è perduto. In una realtà mirata agli eccessi, di ogni atto eroico ciò che lo ha determinato vale quanto l’azione stessa. Il faro è qui puntato sulla tendenza al consumo di merci che rendono hyper: più forti, più giovani, più resistenti, più belli, più e più, sempre più.
Sono piselli, invece, quelli tatuati sulla pelle della bad-girl di Laura Giardino che ironizza sulla seduzione oscura e perversa femminile. L’identikit dei suoi ritratti è trasgressivo e torbido. È ricorrente la ripetizione di pattern decorativi prosaici con cui dipinge vamp, femme-fatale o maliziose pin-up domestiche. Ancora pin-up, che esasperano il rapporto tra appetito sessuale e gastronomico, sono le protagoniste dell’opera di Shanti Ranchetti. Fumetto, underground e surrealismo pop sono le matrici di riferimento per un immaginario femminile borderline tra illustrazione e pittura, con donne fragili e sfrenate, irriverenti e prigioniere di uno stereotipo in apparenza seduttivo ma fondamentalmente dolce-amaro.
 

OPERE IN MOSTRA
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