JUNK FOOD
FEDERICA GHIZZONI con IL MARGUTTA Art Gallery
Inaugurano
giovedì 5 ottobre dalle ore 19.00
La mercificazione del cibo, dagli anni cinquanta in poi con il proliferare dei fast-food, ha portato ad un’alterazione dei prodotti con una ricaduta pesante sulle abitudini alimentari, ma anche sugli ecosistemi, oltre ad una perdita di attenzione per le biodiversità. Il rapporto con il cibo ha raggiunto sfere di alta problematicità fino a diventare una questione sociale in molti paesi occidentali. Tale esasperazione del mercato, come ha notato recentemente il filosofo Diego Fusaro, non può che entrare in conflitto con l’universo simbolico collettivo ed in particolar modo con i valori trascendentali della nostra civiltà. Il senso del sacro ed il principio di solidarietà subiscono uno smacco nichilista e immanente a favore di un nuovo e speculativo valore che è quello rappresentato dalla merce. La citazione di Ezra Pound, qui sopra, va intesa come faro e premonizione: l’alterazione di certi equilibri naturali e spirituali conducono ad un subdolo integralismo, ad un appiattimento dei valori, ad un distorcimento ed irriconoscibilità di certe pulsioni vitali fondamentali. La mercificazione ad oltranza porta ad un’immanenza senza sfumature e diversità. Stiamo mano a mano perdendo il valore simbolico del cibo, diventato sempre più un bene di consumo senz’anima.
La mostra collettiva Junk Food, voluta da Tina Vannini e curata da Francesca Barbi Marinetti e Marcello Francolini, affronta questi temi da molteplici punti di vista attraverso la creatività sprezzante, ironica provocatoria e riflessiva di dodici artisti: Dorothy BHAWL, Marco COLLETTI, Ezia MITOLO, MOBY DICK, Antonella PAGNOTTA, PIER THE RAIN, Mauro SGARBI, Elio VARUNA, Corrado VENEZIANO, e per courtesy della Galleria Federica Ghizzoni di Milano, Sara BAXTER, Giovanni CROVETTO e Romana ZAMBON.
Le opere in mostra mettono in luce le contraddizioni di un sistema di nutrizione strabordante di grassi e zuccheri e povero di elementi nutrizionali. E che cos’è un cibo che punta sull’attrattività esteriore, conservando e migliorando esteticamente la forma originale svuotata però dei contenuti proteici, se non meramente un oggetto? Un ulteriore ibrido della società contemporanea che nuoce alla qualità della vita. Ed è proprio in quanto oggetto che il cibo viene trattato ed indagato da molti degli artisti qui in mostra. Perché è un cibo che assume una forza dirompente nell’immaginario comune sintetizzandosi sotto forma di marchio, logo, simbolo commerciale capace di correre nella comunicazione globalizzata più veloce di milioni di giudizi negativi. È un cibo che determina il proprio valore sulla forza di immagini non reali, studiate mediante operazioni di marketing con l’obiettivo di corrispondere a determinati modelli di attrazione, per sollecitare fantasie che spesso sconfinano in ambiti più affini allo status sociale che non a quello della necessità e piacevolezza del nutrirsi. È un cibo che prima di tutto è merce, in coerenza con un sistema che sostituisce il valore della qualità con quello della speculazione. Si è voluto dunque, attraverso questo percorso espositivo, scarnificare il nonsenso di questa immagine vuota di sostanza che induce a spostare l’asse del desiderio in direzione di pietanze prive di qualità, enfatizzandone a dismisura il bisogno.
L’obesità stessa corrisponde ad un’obesità del pensiero: l’espansione della carne, il suo eccesso, è coerente alla pulsione del possedere con un senso sconfinato della provvista. Una pesantezza del corpo che contamina mente e spirito, e viceversa. Una consumazione che avviene senza sosta, senza tempo di digestione, senza dimenticanza. La chimicità sopraffina di cui sono composti questi alimenti è assimilabile alla molteplicità di oggetti senz’anima che oggi ci circondano e ci assillano. Accumulo e profusione sono tratti distintivi della contemporaneit�, come nei grandi magazzini con la loro abbondanza di confezioni, scatolame, abiti, prodotti alimentari, chincaglierie d’arredo diventati nella percezione collettiva paesaggio primario e luogo geometrico dell’abbondanza. Se l’accumulo rappresenta la negazione magica della penuria, l’arte sembra indicarci che forse dovremmo tentare di arginare il pensiero unico economico anche al fine di trovare un nuovo modo di contemplare e riconsiderare la realtà in cui viviamo.
Le voci creative qui in mostra spiazzano, si mescolano, interagiscono e funzionano come coralità nell’esprimere la pluralità di aspetti che attiene al tema del Junk Food.
Ciascuno degli artisti andrebbe isolato e approfondito, per la diversità degli stili, la qualità dei lavori presentati e la singolarità dei percorsi artistici di ognuno, e ci spiace sacrificare un focus a favore della pluralità che una mostra collettiva come questa necessariamente comporta. Abbiamo preferito dunque immaginare una mappa tematica che suggerisca un ordine per tipologia di approccio individuando cinque differenti ma confinanti sezioni: Ironie multinazionali, Disfunzionalità corporali, Scarto Sublime, De-teologizzazione e de-eticizzazione del patrimonio simbolico e Carne.
Ironie multinazionali
Molte sono le opere in stile pop, neopop, popsurrealiste o ispirate ad un immaginario fantastico che ironizzano costruendo potenti allegorie contro i grandi marchi multinazionali della distribuzione del fast-food (Sara Baxter, Dorothy Bhawl, Moby Dick, Mauro Sgarbi, Elio Varuna).
Disfunzionalità corporali
Noi siamo ciò che mangiamo, recita il detto popolare. Da un rapporto malsano con l’alimentazione si crea un difficile confronto con il proprio corpo, e dunque con il proprio io, con conseguenti manifestazioni patologiche gravi: obesità, anoressia, depressione, diabete (Ezia Mitolo, Antonella Pagnotta, Pier the Rain).
Scarto Sublime
Lo spreco è una delle pesanti conseguenze del consumismo, compreso quello alimentare.
La ricerca quasi ossessiva del vario, del differente e dell’esteticamente appealing è materia di riflessione nella riformulazione di un’iconografia riconoscibile di resti ricomposti con richiami alla Pollock o Arcimboldi (Giovanni Crovetto, Romana Zambon).
De-teologizzazione e de-eticizzazione del patrimonio simbolico
Lo sconfinamento tra piano simbolico religioso, eredità nonché identità culturale ed icone della realtà mercificata contemporanea emerge in modo sottile e pungente come nuovo ambito di riflessione pregno di interessanti ed occulte corrispondenze (Marco Colletti, Pier the Rain, Corrado Veneziano).
Carne
Arte è provocazione utile. Il superamento dei tabù. Noi siamo carne. La carne simboleggia la nostra finitezza e debolezza, ma anche il sacrificio, il supplizio dell’umano protendere verso obiettivi che trascendono l’hic et nunc. Rappresenta la morte. La carne, nuda e cruda, è la sfida ultima a comprendere chi davvero siamo e per quale motivo ci dibattiamo in queste mortali sembianze. La carne è sacra, come lo è sempre ciò che si sacrifica. La carne mangiata è l’arrendersi all’istinto basico della vittoria del più forte sul più debole. La carne rispettata è il recupero dei valori ultimi compreso quello dell’evoluzione umana in direzione verticale (Moby Dick, Mauro Sgarbi, Corrado Veneziano).