ROMANA ZAMBON

TRASPARENZE

Se le bottiglie in pittura rappresentano addirittura un piccolo genere a sé come basterebbero a dimostrare le opere di Paul Cezanne, George Braque e ovviamente Giorgio Morandi, tanto per fare qualche nome, in fotografia le cose non stanno stranamente nello stesso modo.

Certo, la prima immagine fotografica considerata tale, datata 1827 e realizzata da Niepce, riprendeva una tavola apparecchiata e Roger Fenton inseriva nelle sue nature morte qualche bottiglia ma queste erano solo presenza casuali. Esattamente come lo sono state in certi still life di Albert Renger-Patsch, esponente della Nuova Oggettività, che puntava sulla delicatezza del vetro o di Irving Penn che in una celebre immagine di moda riprese una modella attraverso le trasparenze di una bottiglia.

Anche fra gli italiani restano pochi esempi come il fantasioso lavoro di Giovanni Gastel con i contenitori della Coca Cola, quello concettuale realizzato da Franco Vimercati nel 1975 con una serie di 36 bottiglie di Levissima apparentemente tutte uguali (anche se non lo erano) e la ricerca di Mario De Biasi che nel 2016 interpretò in modo quasi astratto le forme di Ferrarelle.

Ben venga dunque questa nuova, recentissima ricerca di Romana Zambon che ha deciso di concentrare la sua attenzione su un soggetto solo apparentemente semplice perché fa parte della nostra quotidianità eppure complesso e difficile per le stesse ragioni, Non abbiamo, infatti, l’abitudine di guardare attentamente una bottiglia, studiarne le forme, cogliere la meraviglia dell’incontro fra il vetro e la luce, immaginare le tante possibilità espressive che può generare.

E’ proprio quanto, invece, ha fatto la fotografa osservando questi contenitori dopo averli decontestualizzati rispetto alla loro funzione così da considerarli solo come volumi inseriti nello spazio.

E’ proprio questo suo andare oltre ad averle consentito di muoversi all’interno di una dimensione originale dove un mondo inanimato per antonomasia come quello dello still life sembra attraversato da un dinamismo che gli conferisce una inaspettata vitalità.

Brillano di uno strano luccichio le bottiglie che sembrano avvolte in un velo simile a un sipario per sottolineare la teatralità della composizione, altre sono trasformate in vasi: da uno emerge una rosa che vibra inseguita dalla sua ombra proiettata su una parete laccata di rosso, da un altro spunta un’orchidea  in un accostamento fra le rotondità dei petali e le linee geometriche di uno sfondo che richiama Mondrian.

Romana Zambon si sofferma con grande perizia sul rapporto fra gli oggetti e l’ambiente in cui sono inseriti dando vita a mille varianti e passando con disinvoltura dall’eleganza delle linee nette di un orizzonte immaginario al senso del vissuto caratteristica da sempre del legno.

Gli sfondi non sono mai tali ma dialogano con le forme di bottiglie ogni volta diverse, talvolta si confondono in un gioco di trasparenze, più comunemente esplodono in cromatismi accesi: verdi e azzurri si mescolano in mille rivoli, gialli e rossi si inseguono in linee sinuose che si arrotolano su se stesse, il bianco mostra le sue tante lievi sfumature che gli sono proprie e accoglie le ombre con delicatezza. Così le bottiglie, oggetti semplici per definizione anche quando sono state rivisitare dai designer, conquistano quel ruolo da protagoniste che, ora grazie alle fotografie di Romana Zambon lo capiamo, a loro spetta pienamente.

di Roberto Mutti

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