AMBIGUOUS PAINTING
“La bellezza può essere avvertita solo dalla mente”
(Immanuel Kant)
di Ivan Quaroni
L’ambiguità è connaturata al linguaggio, non solo a quello lessicale e fonetico, ma a ogni tipo di comunicazione. Il significato originario della parola è “condurre intorno” e allude alla possibilità di eludere il discorso principale, introducendo una pluralità di significati. Come codice, l’ambiguità corrisponde, infatti, alla polisemia, ossia alla molteplicità multiforme dei sensi e dei significati.
Ora, la pittura è senza dubbio un linguaggio per definizione ambiguo, aleatorio, in cui il significante, la forma, insomma la figura è in costante fluttuazione tra una condizione di definizione e indefinizione. Escluse certe forme estreme di realismo e fotorealismo, la pittura trova nella polisemia la sua ragion d’essere. Non solo l’interpretazione polisemica avvalora la pittura, ma diviene la prova della sua qualità. L’ambiguità, è quindi per la pittura un valore, una garanzia che il messaggio che essa è capace di rilasciare è molteplice, multiforme e metamorfico. La sua antitesi è l’opera didascalica, monosemantica e dunque ermeneuticamente sterile.
Tradizionalmente, l’arte astratta implica quel procedimento mentale attraverso il quale si sostituisce un insieme di soggetti (e rappresentazioni) con un concetto. Il concetto è, infatti, un’astrazione, qualcosa che può essere spiegato o rappresentato solo attraverso la metafora o tramite qualcosa di egualmente astratto, come una forma geometrica oppure indefinita, che non corrisponde a nessun oggetto reale. Le forme indefinite, naturalmente ambigue, possiedono il più alto tasso di polisemia poiché rimandano allo spettatore la responsabilità di interpretarne il senso. Diversamente dall’astrazione classica, l’astrazione contemporanea ha, infatti, smesso di essere una filosofia monolitica, divenendo piuttosto simile a un suk, un vivace, quanto fertile, punto d’incontro d’idee, metodi e stili contradditori.
Oggi, non è possibile tornare a fare arte astratta come in passato, poiché gli artisti hanno compreso che le forme astratte sono comunque figure e che l’astrazione è, in definitiva, un particolare tipo di arte figurativa. Nel 1986 il pittore astratto americano Jonathan Lasker scrisse: “sto cercando il soggetto, non l’astrazione”1. Lasker era convinto che l’Astrazione fosse morta con i Black Paintings di Frank Stella e perciò descriveva la sua pittura come qualcosa che rappresentava temi marginali e aleatori come la memoria, la presenza, la materialità, la trascendenza e la mescolanza di arte alta e bassa.
Dopo la sbornia di figurazione mediatica che ha caratterizzato gli anni Novanta sia in Italia che all’estero, in conseguenza dell’influsso della lezione di Gerhard Richter, oggi si avverte la necessità di allontanarsi dalle tentazioni foto realistiche. Astrazione è un termine derivante dal latino ab trahere, che significa “distogliere”, “separare” e indica quel tipo di processo cognitivo che consente di spostare il problema considerato dal piano della contingenza a quello dell’intelletto. Astrazione e teoria sono termini analoghi, perché prevedono un distaccamento dalla realtà vera e propria. Ecco perché in pittura l’astrazione e altre forme di figurazione ambigua si definiscono in antitesi alla rappresentazione realistica o, peggio, foto realistica, le quali si occupano della contingenza in termini tematici ed ottici. Eppure, l’astrazione contemporanea non opera un completo distaccamento dalla realtà, ma anzi trae spunto dal mondo della natura e delle forme organiche.
Un caso esemplare è quello di Arianna Piazza, creatrice d’immagini in cui risulta evidente l’influsso delle forme organiche. La sua ricerca prende le mosse dall’osservazione degli organismi viventi, dal polimorfismo biologico che solo la visione microscopica può svelare. Strutture cellulari, ammassi globulari, protuberanze cigliate, escrescenze rizomatiche fluttuano, nei suoi dipinti, sopra fondi neutri, percorsi da lievi striature e da accenni di texture. Nelle sue opere ogni forma costituisce un grafema autonomo, privo di scopo e di finalità e tuttavia individuato e caratterizzato come il personaggio di una fiaba aliena, che lei stessa definisce “il protagonista di un mondo parallelo, fatto di piccole creature”. Un mondo in cui le forme galleggiano in uno spazio privo di gravità. La levità (come assenza di gravità, ma anche come sentimento) sembra essere un elemento fondamentale dell’indagine dell’artista, che non a caso concepisce la pittura come un’attività ludica, in cui riattivare le energie immaginifiche dell’infanzia per creare universi di pura evasione fantastica.
Il biomorfismo è una prerogativa anche del lavoro di Sam Punzina, artista capace di evocare la magia delle fiabe attraverso paesaggi dai colori melliflui, in cui le immagini di animali, piante, insetti e funghi sono ottenute attraverso una sorta di denso dripping di smalti. Il risultato sono tele cosparse di forme sinuose e arrotondate, morbide come smash mellows e lucide come gelatine, dove la figura si sfalda fino quasi a perdersi in un polimorfismo assai prossimo all’astrazione, ma animato da uno spirito appassionato e vitale. Punzina non solo reintegra nella pratica pittorica il valore del gesto automatico, rileggendo l’informale sotto il segno di un rinnovato spontaneismo, ma si ricava anche un originale spazio d’azione in quella dimensione pop, che sta al confine tra figurazione e defigurazione, che promette di essere il crocevia delle prossime sperimentazioni artistiche.
Improntata a una totale liberta formale è la ricerca di Mirko Canesi, che adopera indifferentemente tecniche analogiche e digitali nell’esercizio di una pittura sui generis, svincolata tanto dalla figurazione quanto dall’astrazione. In effetti, le figure e i personaggi dipinti da Canesi incarnano sotto molti aspetti il concetto d’ibridazione, essendo il frutto di un singolare incrocio tra forme organiche e geometriche, dove la figura umana sembra deflagrare in una folle scomposizione multidiemensionale di cromie, pattern e texture. Il capriccio e la bizzarria sono i cardini attorno ai quali si muove l’indagine dell’artista, che si dichiara interessato a tutto ciò che è apparentemente privo di senso e dunque affascinante per costituzione. La pittura di Canesi accoglie una polimorfica quantità di spunti culturali, che vanno dall’astrologia, alla fisica quantistica, dal mondo dei manga e degli anime giapponesi, a quello dei videogame, secondo un’attitudine post-gerarchica tipicamente pop.
A livello globale, la reazione al cotè richteriano e all’influenza formale di media come la fotografia, la televisione e il cinema sulla pittura arriva dalle file insospettabili della cultura pop. In particolare, da quel tipo di arte che negli Stati Uniti è stata denominata Lowbrow Art o Pop Surrealism e che ha contribuito a riportare la pittura entro i confini della pura immaginazione, dove si annida ogni forma di ambiguità e indeterminatezza, dall’enigma alla finzione, passando per la confusione e l’equivoco. In questo tipo di arte, fortemente influenzata dal Surrealismo storico, l’ambiguità assume contorni definiti nelle forme, mentre l’indeterminatezza permane a livello tematico. In pratica, il significante è messo a fuoco, ma il significato rimane confuso, indistinto, affidato alla facoltà interpretativa (e creativa) dell’osservatore. Basta guardare i dipinti di Robert Williams, capostipite della multiforme galassia Lowbrow, oppure le opere di Mark Ryden, Todd Schorr, Jeff Soto e numerosi altri, per accorgersi di come l’ambiguità sia divenuta non solo una componente essenziale, ma addirittura distintiva, della grammatica pop surrealista.
Anche in Italia si possono trovare linguaggi pittorici prossimi a questo tipo di figurazione. Forse il caso più lampante è quello di El Gato Chimney (alias Marco Campori), che nella sua pittura mescola influssi di street culture con suggestioni surrealiste e fantastiche. Graffitista di formazione (con lo pseudonimo ODK-Krudality), El Gato Chimney inventa paesaggi immaginifici, abitati da strane creature, che sono il frutto di un’affascinante ibridazione tra giocattoli vintage e utensili meccanici fuori uso. Sullo sfondo di una nuova e caramellosa arcadia post-apocalittica, dove natura e artificio si compenetrano quasi senza soluzione di continuità, l’artista milanese sospende figure, parole e numeri enigmatici, che formano un’indecifrabile sequenza di rebus. Quella dipinta da El Gato Chimney potrebbe essere la versione distopica, in salsa steampunk, dell’irrazionale universo dell’Alice di Lewis Carrol, un’originale mistura di post-graffitismo onirico e fantasie neo-vittoriane, che costituisce un unicum nel panorama artistico italiano.
La pittura di Shanti Ranchetti discende direttamente dall’illustrazione e passa attraverso le maglie della cultura pop e underground per approdare a un immaginario semplice e incisivo. Le sue pin up estremizzano il rapporto tra sesso e merce di consumo che fu già di Mel Ramos, ma ponendo una maggiore attenzione sull’equivalenza simbolica tra appetiti gastronomici e sessuali. Prossimo alle atmosfere della Pop art classica, con cui condivide non solo i soggetti, ma anche le cromie, l’universo zuccherino e softcore di Shanti strizza l’occhio anche al mondo del tatuaggio e delle body modification, nonché all’immaginario estremo dei freak. L’ambiguità della sua opera consiste non tanto nell’iconografia, ma nell’ibridazione stilistica tra illustrazione e pittura, un elemento tipico della cultura post-gerarchica lowbrow.
Supportata da una tecnica meticolosa e dettagliata, l’opera di Loredana Catania indaga la dimensione favolistica evidenziando contraddizioni e ambiguità semantiche attraverso bislacche associazioni visive. Nel suo lavoro, sviluppatosi come una sorta di deriva fantastica del neofigurativismo realistico di fine anni Novanta, si affastellano figure incongrue ed enigmatiche, in un’eccentrica combinazione di ossimori e paradossi iconografici. Loredana Catania desume esplicitamente dal Surrealismo la capacità di creare combinazioni illogiche e assurde, conservando, però, la meticolosa capacità d’osservazione dei realisti. Una caratteristica, quest’ultima, che permette all’artista di descrivere ogni dettaglio con fotografica precisione.
1) Godfrey Tony, PAINTING TODAY, pag. 154, Phaidon Press, 2009, Londra.