Trinità erotico-nostalgica
di Ivan Quaroni
"Cosa bella e mortal passa e non dura".
(Petrarca, Canzoniere, sonetto 190)
"La vita è correre. Il resto è soltanto attesa."
(Steve McQueen)
È finita l'epoca in cui i camionisti appendevano sul loro veicolo calendari e foto di donnine sexy. Pare che oggi, nelle cabine degli autotrasportatori, vadano di moda i calendari delle giornaliste. Cose da pazzi. I camionisti erano il termometro del gusto popolare degli italiani in fatto di bellezza femminile. Per chi, come me, è nato negli anni settanta, le foto di pin up e playmate maggiorate, con pettinature alla Samantha Fox e intimi sgarbatissimi, erano sinonimo di una certa idea di sessualità sana e triviale. Non c'era officina meccanica, elettrauto, pompa di benzina che non esibisse orgogliosamente il suo almanacco scollacciato. Una prova obbligatoria di virilità, insomma, soprattutto quelle professioni collegate con il mondo delle quattro e delle due ruote.
Nonostante un noto proverbio, quella tra donne e motori è una combinazione vincente da decine di anni, tanto per la stampa popolare che per quella patinata. Uno scrittore impeccabile e visionario come James Ballard ne ha addirittura fatto il perno di Crash, il suo romanzo più dissacrante e allucinato, che racconta la perversa unione tra sesso e scontri automobilistici. Ma per rimanere su un terreno meno morboso di quello immaginato dal britannico autore di fantascienza, basta guardare la quantità di film prodotti da Hollywood sull'argomento, da American Graffiti a Fast and Furious, passando per Grease e tutti i film della serie James Bond, per accorgersi che si tratta di uno dei connubi più fortunati della storia, capace, da sempre, d'irretire l'immaginario maschile di massa.
Enzo Forese si accosta al tema con originalità e cognizione di causa e soprattutto per cause che riguardano la sua personale biografia. Allo stesso modo, la scelta della galleria Federica Ghizzoni è tutt'altro che casuale. Due cose, infatti, legano Enzo Forese alla gallerista milanese, la passione per l'arte e i motori. "Lei, figlia e nipote dei proprietari di una nota concessionaria Fiat di Milano", scrive l'artista, "Ed io, figlio e nipote di una nota ditta di autotrasporti". Il padre dell'artista acquistava i veicoli industriali e le automobili proprio dalla concessionaria Ghizzoni. Da questa comune traccia biografica prende le mosse l'idea di realizzare una sorta di tributo all'immaginario erotico dei camionisti, ma ammorbidito dallo stile lieve e malinconico dell'artista e dalla sua passione per la storia dell'arte.
Tra gli elementi fondanti della grammatica artistica di Enzo Forese, sono da annoverare la celebrazione della bellezza femminile, intesa come sentimento connesso alla fragilità e caducità dell'esistenza, che trova un corrispettivo nella rappresentazione floreale, e l'eros, vissuto come impeto vitale, come imperativo a cogliere le gioie dell'esistenza, in contrapposizione ai sempiterni moniti sulla volatilità del tempo(tempus fugit e memento mori).
Le sculture assemblate di Donne, fiori e motori rappresentano non solo il proverbiale binomio tra bellezza e potenza, ma anche il sottile senso di transitorietà che ad esse si accompagna. Con la loro grazia ornamentale, i fiori simboleggiano l'elemento caduco, effimero, trasformando la tradizionale diade "donne e motori" in una trinità dal sapore epico. L'eros femminile, potenziato dall'elemento maschile della macchina, del motore, fa qui i conti con la limitata estensione dell'avventura umana, per definizione breve.
Nei modelli di automobili fantastiche di Forese ritroviamo non solo l'attitudine lirica tipica della sua pittura, ma anche la nostalgia per l'infanzia e per i giocattoli semplici di un tempo. Sigmund Freud una volta ha scritto a proposito del "penoso contrasto tra la sfolgorante intelligenza del bambino e le fioche facoltà mentali dell'adulto medio". Ecco, quelli di Forese sono bolidi dalla forma strana, talora tozza, talaltra allungata, sono fuori serie frutto di un sogno dadaista o di un'utopia futurista e, proprio per questo, hanno qualcosa d'ingenuo e infantile. Sono macchinine che non troveremmo mai nei moderni negozi di giocattoli, perché l'unica tecnologia di cui dispongono è quella derivante dall'abilità fantastica di trasfigurare oggetti comuni e perfino banali.
A queste macchinine, costruite con materiale di recupero come lattine di birra, scatole di sigarette e fiammiferi, guarnizioni, tappi di bibite e vecchie matite, si affiancano figurine di procaci donnine manga, miniature di famose eroine dei fumetti e dei cartoni animati come la mitica Betty Boop. Sono perfette e maliziose incarnazioni della joie de vivre, divinità terrene, monumenti innalzati alla bellezza effimera, cui fanno eco i fiori, simboli della Vanitas, che sotto forma di delicati pattern e armoniose texture segnano i basamenti di questi altari postmoderni.
Sono opere pop, estremamente intellegibili, che di primo acchito, attraverso i colori comunicano un senso di levità e felicità, ma che in seguito rivelano una sottile anima nostalgica.
La nostalgia caratterizza, infatti, larga parte della produzione dell'artista, assumendo i tratti di una condizione psicologica di rimpianto per un passato che non tornerà più e che viene quindi idealizzato nel ricordo e nell'immaginazione. La gioventù, la grande arte del passato, la bellezza in tutte le sue declinazioni sono l'oggetto di questo estenuato rimpianto, cui fa da contraltare un senso di salutare e compassata ironia. "Dato che il patetico non può essere espulso dalla vita umana", scriveva Ignazio Silone in Pane e vino (1936), "per renderlo sopportabile mi pare che sia sempre utile accompagnarlo con un po' d'ironia". Avvertendo il lato patetico dello stato d'animo nostalgico, Forese sceglie di superare questa empasse attraverso una procedura di abbassamento del suo consueto codice linguistico. Basta guardare i collage su fondo argentato, che ripercorrono l'immaginario erotico dei camionisti con una carrellata di provocanti pin up, il cui stile è sospeso tra il feticismo di certa Pop Art inglese - Allen Jones, in primis - e la schietta trivialità dei fumettacci anni Settanta come L'Intrepido, Skorpio e Lanciostory. Sono figurine da collezionare, che illustrano un campionario tipologico, ma soprattutto topologico, dell'erotismo pecoreccio. L'antitesi, insomma, delle icone bizantine, quasi una sorta di kamasutra tascabile, dedicato a tutti i cuori solitari che battono in lungo e in largo le autostrade di questa nostra bella penisola.