Per gli antichi Greci il teatro era il luogo dove tutti i concittadini si ritrovavano per assistere al rito del rispecchiamento della loro realta', delle loro paure piu' profonde, dei loro sogni e dei loro incubi. Tutti sapevano che quando veniva messo in scena non era la realta' ma ne conservava la parvenza perche' ne era una rappresentazione. Trasformato spesso nella sua versione piu' edulcorata, l'intrattenimento, il teatro puo' perdere la sua efficacia catartica ma se affidato a mani esperte riacquista una potenza narrativa che si carica di un affascinante mistero.
Romana Zambon ama gli spazi liberi perche' le consentono di ampliare i confini della sua fantasia cosi' quando si e' trovata di fronte al bianco abbacinante delle cave ha subito intuito di doverle trasfigurare fino a farle approdare a una dimensione surreale dove la realta' e l'immaginazione si sovrappongono fino a identificarsi. Ha cosi' creato fotografie caratterizzate dall'assoluta mancanza di figure umane e da tre elementi in dialogo stretto fra loro: il cielo, piu' volte cangiante, insegue all'orizzonte la linea del mare e incombe curioso sulla scena; le pietre, caratterizzate dai tagli decisi che le attraversano come ferite, sono disposte spontaneamente a semicerchio come per valorizzare il palco naturale su cui si alternano come apparizioni ora massi dalle forme abbozzate ora figure emblematiche tutte da interpretare.
Di chi e' quel volto che sembra affiorare dal nulla ed esibisce un'espressione enigmatica, a quale mito si richiama il cavallo senza zampe ne' coda che pure conserva, pur nell'immobilita', una fierezza antica?
Romana Zambon conosce bene il valore del mistero e l'importanza di non svelarlo: si limita a lasciare ai suoi interlocutori labili tracce che ognuno utilizzera' per evocare il volto ermetico della divinita' oracolante di Delfi o quello gelido e sprezzante di Dioniso, i cavalli alati posti a guardia di Tarquinia o la statua cava dell'inganno ordito da Odisseo. Perche' al centro della scena si mostra quanto labile sia il confine fra il vero e l'ingannevole, il reale e l'immaginario, l'esistente e l'artificioso. Proprio come la fotografia che tanto piu' e' frutto di grande creativita' quanto piu' svela il suo meraviglioso allontanarsi dal vero.
Romana Zambon ama gli spazi liberi perche' le consentono di ampliare i confini della sua fantasia: di fronte allo spettacolo delle cave ha scelto di trasfigurarle per approdare a una dimensione surreale dove realta' e immaginazione si sovrappongono fino a identificarsi. Ha cosi' creato fotografie caratterizzate da tre elementi: il cielo cangiante che incombe sulla scena, le pietre disposte a semicerchio e il palco naturale su cui si alternano come apparizioni ora massi dalle forme abbozzate ora figure emblematiche tutte da interpretare.
di Roberto Mutti
fotografie di Romana Zambon