POP STUFF
SUL POP CONTEMPORANEO
Stefano Abbiati – Maurizio Carriero – Giovanni Manzoni Piazzalunga –Monica Palumbo – Michael Rotondi – Samuel Sanfilippo – Tiziano Soro
Testo critico di Ivan Quatroni
A Milano dal 4 al 29 febbraio 2008
“La sperimentazione non può più essere una specialità per addetti ai lavori
ma deve unirsi in matrimonio con una forte energia di comunicazione,
deve sempre più diventare (se mi passate l’espressione)
sperimentazione sexy e pop.”
Franco Bolelli 1
Quello che molti non capiscono è che l’arte pop non è necessariamente la Pop Art. È una distinzione importante, che i critici e gli addetti ai lavori faticano ad accettare, continuando a collegare automaticamente ciò che è “pop” oggi, con ciò che è stato “Pop” ieri. La colpa è senz’altro della terminologia, che è inadeguata. Tanto che, ogni volta che usiamo questo vocabolo (contrazione dell’aggettivo anglosassone popular), corriamo il rischio di essere fraintesi . La verità è che la nuova cultura pop contemporaneo ha poco a che vedere con la Pop Art storica. L’arte pop è diventata, invece, una categoria antropologica, cresciuta con l’evolversi della società dei consumi e diramatasi in tutti gli ambiti creativi, dal cinema al fumetto, dal design all’advertising, fino all’arte contemporanea. Un’arte che sia davvero pop, cioè popolare e dunque immediatamente comprensibile a chiunque, si avvale di simboli e segni diffusi su scala planetaria. Naturalmente, nella odierna cultura globale questo meccanismo assume un’efficacia esponenziale. Le immagini utilizzate dai moderni artisti pop fanno appello ad un substrato di conoscenze comuni a tutta l’area occidentale e ad alcuni settori dell’area estremo-orientale ed Internet è lo strumento attraverso cui immagini e simboli della cultura contemporanea vengono condivisi in tempo reale in ogni angolo del globo.
La diffusione massiva del web, infatti, corrisponde ad una sorta di discrimine temporale tra il vecchio pop e il nuovo pop. Non si tratta solo di un potenziamento di tipo tecnologico delle modalità operative con cui gli artisti scovano il materiale iconografico, ma di un nuovo tipo di coscienza e di una nuova attitudine cognitiva.
A cambiare è l’orizzonte culturale degli artisti, che s’interfaccia ora con disparate realtà, senza più vincoli geografici e linguistici. Il web non è solo un serbatoio infinito d’immagini, ma un luogo di scambio d’idee e di stimoli culturali e sub-culturali d’ogni tipo. Il cambiamento riguarda, dunque, le modalità d’approccio al lavoro stesso. Ciò che intendo è che, in un mutato orizzonte culturale interconnesso e globale, l’arte subisce necessariamente delle modificazioni. L’impiego, ad esempio, di immagini e figure rubate all’immaginario di massa assume un significato nuovo. Non si tratta più di equiparare semplicemente la cultura “bassa” con quella “alta”, di portare alla luce iconografie derivate dalla pubblicità, dal fumetto, dal cinema o dalla televisione. Tutto ciò è stato già fatto dai pionieri della Pop Art. Si tratta piuttosto di utilizzare quelle immagini e quelle figure come se fossero i lemmi di un vocabolario globale e quindi immediatamente comprensibile al più vasto numero di persone possibile. Usare, oggi, l’iconografia di un supereroe americano può sembrare scontato se non ci si chiede come mai questo tema, nato dalla letteratura fantascientifica e dai fumetti americani degli anni quaranta, sia divenuto un motivo dominante della cultura contemporanea. Ad occuparsene non sono solo le produzioni hollywoodiane orientate all’intrattenimento (vedi la profusione di blockbuster sui character della Marvel e della DC comics), ma anche quelle di qualità come Unbreakable di M. Night Shyamalan e Gli Incredibili della premiata ditta Disney Pixar e quelle di serial televisivi innovativi come Smalville e Heroes. Evidentemente, il tema è penetrato a tal punto nella cultura contemporanea da diventare un vero e proprio genere, erede tanto del fantasy mitologico, con gli eroi nelle vesti di nuove e più umane divinità, tanto della fantascienza, nella prefigurazione di una umanità geneticamente modificata e potenziata da nuove capacità fisiche e mentali.
Insieme ai supereroi, assurgono a nuove divinità del pantheon pagano della postmodernità non solo i personaggi pubblici, appartenenti al mondo dello spettacolo, dello sport, della politica, ma anche quelli di pura fantasia dei cartoni animati, della fiction televisiva, perfino dei giocattoli. Anche loro sono divenuti parte di questa grammatica internazionale, di questa “esperanto” immaginifica. Le Winx e le Barbie, Hello Kitty e Ronald Mc Donald, Maradona e Fonzie, Elvis Presley e i Nirvana e, infine, le top model delle riviste fashion sono parte integrante di un mondo insieme reale e fittizio, che abita, volenti o nolenti, nella coscienza visiva di milioni di persone. Usare queste immagini significa servirsi di un codice comune, di un sostrato universale per comunicare qualcosa che travalica la semantica delle immagini pop, facendo appello all’intelligenza dei singoli e delle collettività. Il nuovo pop è concettuale senza essere pretenzioso; è leggero, senza essere superficiale; è ironico, senza essere sarcastico; è drammatico senza essere piagnone. Il nuovo pop è, in un certo senso, la risposta scanzonata, ma intelligente, al post-concettualismo che grava sul mondo dell’arte da quasi un ventennio a questa parte. Una tendenza, questa, che ha ormai esaurito la sua carica innovativa, se mai ne ha avuta una.
Semplice, diretto e immediato, ma soprattutto svincolato da ogni tipo di ideologia e pensiero dominante, il nuovo pop si diffonde grazie alla libera associazione della rete informatica, a siti come My Space e You Tube, ai centinaia e migliaia di blog che sommergono la tradizionale impostazione verticale e gerarchica dei mass media con un movimento d’opinioni che parte dal basso e si diffonde con la velocità di una pandemia. Viene da chiedersi se, di fronte a questa nuova società globale, abbiano ancora senso le forme d’arte elitarie, gli pseudo concettualismi snob, i minimalismi di maniera, insomma tutte quelle espressioni che, invece di liberare la creatività, la imbrigliano in preteso rigore intellettuale che emana effluvi mortuari. Il nuovo pop – non mi stancherò mai di ripeterlo – è l’espressione di un sano vitalismo intellettuale, di una sovrabbondanza energetica e sensuale, di un’eccedenza creativa. L’artista, oggi, deve essere eccessivo soprattutto in questo: nella carica vitale.
I sette artisti di questa mostra sono esempi tipici di questa nuova e globale sensibilità pop. Una sensibilità, appunto, più che un’estetica, in grado di esprimersi attraverso diversi stili espressivi, tramite un linguaggio iconografico semplice e diretto.
È il caso del livornese Michael Rotondi (1977), che prende spunto dai disegni punk delle fanzine, dalle grafiche delle t-shirt, dagli stikers anni 80, dai manga giapponesi e dall’estetica rock. Tutti elementi che contamina con frammenti del proprio vissuto quotidiano, in una sorta di personale mitografia fantastica, disegnata con un tratto sporco di matrice underground. In questo caso, Rotondi propone alcune copertine di dischi, da Nevermind dei Nirvana al London Calling dei Clash, uno dei primi esempi di citazionismo rock, con la sua fedele trascrizione dell’artwork di un disco di Presley, quello celebre con la scritta verde e rosa ad angolo retto.
Il milanese Stefano Abbiati (1979) dipinge icone e personaggi dell’immaginario massmediatico, sperimentando interessanti commistioni stilistiche, in bilico tra espressionismo, caricatura e illustrazione. Con una tecnica mista, che include il collage e il disegno, Abbiati dipinge i suoi VIP come fossero le marionette di uno spettacolo per bambini. Fonzie, Maradona e Rocco Siffredi diventano, allora, nient’altro che rielaborazioni di segni e codici, registrazioni del rumore di fondo della cultura popolare, ma compressi e deformati in una straniante versione ipotrofica.
Legato ad un linguaggio schiettamente pop, ricco di spunti e suggestioni fantastiche, è Tiziano Soro (1979), che si ispira alle immagini cinematografiche e televisive, al colorato dell’advertising e al mondo dei giochi per bambini. L’artista combina stile flat e figurazione realistica in una pittura semplice e raffinata, in cui aleggiano influssi dell’estetica Sixties e suggestioni ornamentali. Nelle sue tele, le immagini sono, infatti, ridotte a icone di puro valore segnaletico, stagliate, come figurine adesive, su fondali contrassegnati da bizzarri pattern araldici.
Sporca e politicamente scorretta è, invece, la pittura di Monica Palumbo (1972), che trasferisce immagini e loghi di celebri giochi per bambini in sconvenienti contesti erotici o in stridenti scenari bellici. Il suo è un pop espressionista, percorso da una vena ludica e provocante, spesso giocata su maliziosi accostamenti visivi. Sintomatiche, in questo senso, sono le opere di carattere erotico, come i due nudi di donna con i loghi delle Winx e della Barbie che occultano (o forse censurano) la visione diretta dei genitali. Altrettanto scabrosa è l’immagine di Hello Kitty, icona infantile per eccellenza, qui trasformata in simbolo dello strapotere militare americano.
Gotiche e misteriose sono, invece, le modelle dipinte da Maurizio Carriero (1980) con uno stile neo-dandy in cui convergono l’immaginario fashion e la citazione colta. L’artista parte da suggestioni legate ai maestri rinascimentali, Dürer in primis, per elaborare un linguaggio grafico di sicuro impatto, in cui gli stereotipi pubblicitari del mondo della moda vengono trasfigurati, fino a diventare irriconoscibili. Nella sua pittura in bianco e nero, l’esasperazione estetica dei corpi e l’affettazione delle pose si fondono con elementi iconografici contrastanti, come l’ingrandimento di insetti di varie specie, di strutture cristalline di fiocchi di neve o di particolari desunti da antiche tavole anatomiche.
Dedicati apparentemente agli eroi in calzamaglia della tradizione fumettistica americana sono i disegni di Giovanni Manzoni Piazzalunga (1979). In verità, i suoi eroi sono persone comuni, uomini e donne che, con le loro azioni quotidiane, diventano protagonisti di un eroismo silenzioso. L’artista non ci offre, dunque, una versione prosaica e realistica del superuomo con superpoteri, ma una normalizzazione del concetto stesso di “eroismo”, applicabile a chiunque sappia vivere con coraggio la propria vita.
Infine, con le sue piccole tele, Samuel Sanfilippo (1975) getta uno sguardo ironico sulla realtà, illustrando scene buffe e paradossali di cui sono protagonisti eroi inconsapevoli o star dell’arte, come l’irriverente Terry Richardson, icona di uno scanzonato immaginario porno-pop. Sanfilippo descrive, con il suo stile rapido e immediato, spaccati di vita metropolitana, brevi flash che, insieme, compongono l’affresco di un mondo gioiosamente bizzarro.