Hyperorganic: ambiente emergente
di Jacqueline Ceresoli
Di che organico parliamo nella nostra epoca biotecnologica? Quale ambiente ci circonda?
Siamo in bilico tra senso di onnipotenza tecnologica ed esaurimento delle prestazioni organiche a causa del surriscaldamento provocato dall’effetto serra, del senso di colpa di avere innestato un processo ineluttabile di sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali, senza precedenti nella storia dell’umanità, e in questo delirante stato confusionale la terra trema per le scosse sismiche provocate dall’uomo. La verità è che senza di noi il mondo sarebbe una favola.
Quale futuro progettiamo in un ambiente alle prese con il buco dell’ozono, la deforestazione, l’innalzamento dei mari, il rapido consumo dell’acqua potabile e del cibo, l’inquinamento del pianeta con l’ecosistema visibilmente compromesso e sempre più fragile?
Agli artisti non resta che rappresentare apocalissi ambientali patinate o surreali paesaggi ibridi dove tutto è calma, lusso e voluttà?
Alle domande non ci sono risposte ma diverse proiezioni dello stesso ambiente violato. Si tratta di opere- monitor, presagi e configurazioni dei nostri malesseri, disagi, incubi, stati di involuzione in corso, ma anche sogni di nuovi processi cognitivi che dipendono dalla scienza e dalla tecnologia
Osservando le opere in mostra, la prospettiva misantropocentrica è chiara nell’assenza della figura umana, evocata da elementi organici.
Passeggiando in questa “ white-zone ”, si ha l’impressione che la drammatica situazione in cui versa il pianeta Terra, gravata da problemi di non facile soluzione, non sia stata presa in considerazione, ma in realtà, dietro questa calma apparente, si configura lo spettro imminente della catastrofe ambientale annunciata e nella stessa visione c’è il segno e il sogno del nuovo. L’hyper organico è già nelle nostre menti, nei nostri sguardi ed è protagonista di un futuro già presente.
Le opere esposte denunciano da una parte i problemi ambientali, dall’altra configurano scenari ideali in cui scienza e natura condividono lo stupore, l’incanto e celebrano il miracolo della vita. Organico, deriva dal greco organikos, significa strumento, organo. La struttura organica si riferisce al mondo animale o vegetale che nel nuovo millennio è costituito da un insieme di organi, naturali e artificiali. Nell’epoca internettiana siamo un ibrido tra natura e tecnologia, infatti hyper indica che siamo, oltre, sopra l’organico. Il nostro ambiente naturale comprende le tecnologie che stanno modificando la nostra vita, abitiamo negli spazi progettati come una macchina complessa per abitare in perenne metamorfosi, adattabili come protesi ad una specie umana sempre più ibrida e viziata dal lusso del progresso. Stiamo sviluppando la possibilità di estendere i nostri corpi nello spazio virtuale e naturale nello stesso ambiente; il segno del nuovo è in questa organicità “altra”, qui rappresentata non come nemica della vita, bensì come manifesto bio-etico. Gli artisti come gli scienziati stanno immaginando scenari prossimi venturi abitati da organismi biotech, realtà complesse e nanotecnologie, quotidiane come il pane, in cui emergeranno nuove professioni, per lo più legate alla tutela dell’ambiente. Saranno ricercati gli esperti di sistemi ecologici, come gli artisti sognano risanamenti di suoli inquinati, riciclo dei rifiuti e tutela ambientale con sistemi innovativi.
Il filo rosso tra l’organico e l’artificiale è la fluidità, la metamorfosi, il cambiamento e l’ibridazione tra il bit e la bios, formula ipotetica di un mondo in cui si materializzano le hypercittà, cablate e interconnesse costantemente. In questa mostra le citazioni organiche sono rappresentate come atomi, forme fluide e i presagi di nuove megalopoli come paesaggi ibridi.
ventuno opere esposte in un ambiente bianco sembrano fluttuare nelle atmosfere amniotiche sospese in una ameba liquida immaginaria.
Il 2015 non è poi così lontano, l’Expo milanese non sarà solo una meta, ma il punto di partenza di una città-giardino non generica o performativa di vacuità ma vivibile, dall’impronta ecologica, oltre che dal design non puramente decorativo.
All’orizzonte c’è lo skyline dell’Expo, alla Triennale si presentano paesaggi ibridi, in cui l’hyperorganico è un codice variabile del cambiamento. non si tratta della solita mostra di artisti individualisti che si limitano a criticare la società, ma di un manifesto della creatività che cerca soluzioni ecosostenibili per recuperare l’equilibrio e il rispetto tra l’uomo e l’ambiente.
L’educazione al futuro è il primo passo per progettare una realtà sostenibile dove la scienza, prototipo di tutto il sapere è integrata da altri punti di vista di carattere artistico, umanistico e forse anche etico. Allo spettatore lasciamo l’ardua sentenza.